Gioi Cilento
Il luogo
L’insediamento fortificato di Gioi è collocato sulla sommità di un colle, a 685 m., in posizione dominante sulla media valle del fiume Alento. La parte più alta del borgo abbraccia la visuale dal mare antistante la torre Angioina di Velia alla costa prospiciente il castello Aragonese di Agropoli. Nelle giornate prive di foschia è chiaramente visibile l’isola di Capri, verso nord-ovest, mentre verso sud-.ovest, si possono ammirare le isole Eolie.
Ci troviamo nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, istituito nel 1991, il secondo parco d’Italia per estensione. Si estende dai monti Alburni, a nord, al corso del fiume Bussento, a sud, dalla valle del Tanagro, ad est, al mar Tirreno.
Dichiarato dall’UNESCO, nel 1997, riserva mondiale di biosfera e nel 1998 Patrimonio dell’Umanità, rappresenta un territorio di eccezionale valore naturalistico e storico conservando i propri caratteri di Paesaggio culturale.
I limiti comunali di Gioi sono costituiti per la maggior parte da elementi morfologici; a nord e a nord/est essi seguono le vette del monte Le Corna (895.3 m. s.l.m.) e della montagna Serra Amignosa (953 m. s.l.m.), mentre a sud/ovest e ad ovest il territorio comunale è delimitato dai naturali corsi d’acqua della fiumara della Selva dei Santi e del vallone di Gioi.
Il suo territorio presenta una morfologia molto varia, inciso da numerosi e modesti corsi d’acqua tutti afferenti ai tre più rilevanti corsi del vallone di Gioi, della fiumara della Selva dei Santi e del torrente Fiumicello, il cui regime è quello proprio delle fiumare meridionali con lunghi periodi di siccità.
Un po' di storia e archeologia
Evoluzione etimologica
Le numerose testimonianze scritte riferite al castello di Gioi a partire dal 1134 fornirono notevoli indicazioni riguardo all’evoluzione etimologica del toponimo Gioi a partire dal 1134 forniscono notevoli indicazioni riguardo all’evoluzione etimologica del toponimo Gioi: Ioe (a. 1134), Iohe (a. 1272), Ioha (a. 1291), Yoya (a.1445), Iohae (a. 1466), lo Ioio (a. 1486), lo Joho (a. 1492), Joya (a. 1513), Ioia (a. 1570), Yoyo (a. 1633), Ioio (a. 1753), Gioj (a. 1810).
Per comprendere quale possa essere stata l’evoluzione del sostantivo, prima che comparisse nei diplomi medievali a noi pervenuti, inseriamolo in un contesto territoriale più ampio ma interessato dalla stessa stratificazione storica.
Il toponimo di Gioi è compreso in una regione un tempo linguisticamente osca ed in una zona dove è attestato o si può presumere il culto di Giove, insieme all’usanza di consacrare a questa divinità la rocca.
Si potrebbe perciò presumere la derivazione da un antico Lovia, in origine aggettivo desunto dal teonimo Lovis (Giove), usato come attributo di luoghi sacri a Giove, che appartiene alla tradizione linguistica italica, non a quella latina.
Cosa vedere
Sulla sommità del colle sorge il castello di cui sono attualmente visibili i ruderi riferibili al periodo normanno-svevo (XII- XIII secolo) e al periodo angioino (XIII-XIV secolo). I resti della prima fase, visibili lungo il lato ovest del complesso, appartengono ad una prima torre di impianto quadrangolare che fu inglobata nelle strutture di periodo angioino. L’impianto planimetrico riferibile a quest’ultima fase doveva apparire composto da un recinto rettangolare al cui vertice nord-ovest si collocava una torre quadrangolare sporgente dal recinto verso ovest.
All’interno del recinto murario dell’impianto fortificato erano presenti diversi ambienti come testimoniato dai resti di murature presenti in superficie e dai resti di una volta a botte che corre lungo il lato nord delle mura.
Nell’angolo nord-ovest del recinto sono presenti i resti del pianterreno della torre coperto con volta a botte e situato a 5.30 m. al di sotto del piano di calpestio attuale, di norma questo ambiente veniva utilizzato come deposito di armi e viveri o come prigione, per cui risulta privo di aperture; inoltre, nello stesso pianterreno, nell’angolo nord-ovest si conservano le tracce di una cloaca. La comunicazione del pianterreno con i due o tre piani che in origine lo sovrastavano avveniva mediante una botola ricavata al centro della volta a botte (l’unico accesso all’ambiente ancora oggi) servita probabilmente da una scala lignea.
Il recinto murario è stato interessato da più ricostruzioni, avvenute fra il XII ed il XIV secolo, evidenti lungo il lato ovest, dove si collocava anche l’ingresso al castello. Quest’ultimo era composto da un arco a tutto sesto leggermente ribassato che poggiava su due peducci di imposta ancora oggi conservati. La zona prospiciente l’ingresso, durante il medioevo, doveva apparire molto più avanzato di ciò che abbiamo di fronte oggi, frutto di un continuo utilizzo del luogo come cava. Questa zona era costituita da un bancone roccioso all’interno del quale era stato scavato un fossato che circondava interamente il castello e nel quale confluivano le acque meteoriche dalle canalette tutt’oggi presenti lungo i ruderi del complesso.
Dopo la prima occupazione avvenuta fra XI e XII secolo della parte sommitale della collina, la cui attuale tessitura urbanistica ripercorre i tratti del primo insediamento fortificato articolandosi rispetto al mastio in fasce concentriche, durante il tardo periodo normanno ed il periodo svevo l’insediamento castellare di Gioi subì una prima espansione che mantenne come limiti le scarpate naturali presenti lungo i lati nord ed ovest della collina. Lungo il lato sud, meno difeso naturalmente, si decise di costruire una cinta muraria che partendo dal fianco della chiesa di S. Eustachio terminava in corrispondenza della porta urbana bastionata situata lungo via madonna di Pompei. Si conservano di questo primo circuito murario, lungo il fianco della chiesa di S. Eustachio la porta ovest bastionata con orientamento ovest-est, coperta con volta a botte ad arco ribassato e scavata nella roccia naturale utilizzata poi per costruirla.
Stessa tecnica costruttiva riscontriamo sugli altri elementi riconducibili a questa prima cinta muraria: la porta urbana, con orientamento sud-nord, collocata al centro del circuito murario, lungo vie dei Principati, e la porta urbana che chiude il circuito murario ad est, situata in via S. Zaccaria. Oltre tale linea difensiva venne praticato un fossato, testimoniato sia dalla conformazione morfologica attuale che dal toponimo rivellino riferito all’intero agglomerato che si formerà extra moenia e che sarà inglobato dalla seconda cinta muraria di periodo angioino.
L’abitato è circondato da una cinta di mura con ampi tratti ancora ben conservati. La struttura ha andamento poligonale intervallata da torri circolari, troncoconiche e quadrate chiaramente frutto di interventi effettuati a più riprese fra XIII e XV. Lungo il lato nord della collina si conservano quasi integralmente circa 300 m. di cortina muraria; sul lato est è totalmente assente, tranne piccoli spezzoni che lasciano presupporre il circuito originario, da sud-est a sud-ovest la cortina si conserva a tratti per circa 100 m., infine lungo il lato ovest la cortina è assente poiché la collina è difesa naturalmente da un costone roccioso. Lungo la cinta muraria si conservano i resti di undici torri circolari, una troncoconica ed una quadrata; la stessa veniva interrotta da cinque porte urbane e da tre posterle.
Iniziando la descrizione della cinta muraria e delle torri dal castello incontriamo, subito dopo Porta Soprana, una saettiera ad arco a tutto sesto posta a guardia dell’ingresso; le mura proseguono sino al portello dove a guardia dell’ingresso è evidente il basamento di un punto vedetta di forma quadrangolare. Continuando verso est incrociamo, un’altra saettiera di forma rettangolare e le torri “1” e “2” realizzate nella prima metà del XIII secolo. Più avanti, una posterla ad arco a sesto ribassato, attualmente murata, presenta il fronte composto da conci ordinatamente disposti a raggiera. La torre “3”, costruita alla fine del XIII secolo, è posta ad angolo tra il lato nord e quello est della cortina. Nella metà del 900 gli si addossarono i resti di un portale ben lavorato di fattura rinascimentale (detto Porta dei Leoni) che la leggenda vuole interpretare come una delle porte urbane del Castello di Gioi e attualmente situata nei vicini giardini. Qui era situata una delle porte più importanti del castello: Porta Nova o (Nobe), alla quale si accedeva dal tracciato che ancora si conserva: la Selece.
Le torri “4” e “5” conservano poco del loro impianto originario; queste come la “6”, attualmente coperta da un’abitazione, e la “7”, furono costruite nella prima metà del XIII secolo e subirono una ristrutturazione sul finire dello stesso secolo. Tra le due torri “5” e “6” si apriva un altro importante accesso al borgo fortificato: Porta Chiaie o (Ianni). Le torri “8”, l’unica con pianta quadrata, e “9”, sono state realizzate nella prima metà del XIV secolo. Nei pressi di quest’ultima si colloca la posterla del Ribellino sormontata da un arco a sesto acuto che precedeva la più importante porta San Francesco.
A guardia della porta era posta anche la torre “10” che, come la “11”, fu realizzata nella prima metà del XIII secolo. Oltrepassando il Convento si S. Francesco è possibile ammirare le torri “12” e “13”, quest’ultima realizzata nella prima metà del XIV secolo, la “12” invece, con basamento scarpato, è stata costruita sul finire del XV secolo e si presenta con una struttura più massiccia rispetto alle altre torri
Essendo Gioi, come si è detto dinanzi, circondata da massicce ed inespugnabili mura, si entrava in paese da sette Porte.
Fra settentrione e levante ne esisteva una detta “Portanova”. Era di forma architravata, ampia, e dai ruderi e dai diversi pezzi di considerevoli dimensioni, che ancora si conservano, è da credere che “Portanova” sia stata maestosa, magnifica, ben lavorata e degna veramente, solo di un’Università agiata.
Dalla base, su cui erano sdraiati due leoni ed un leoncino, si innalzavano alti, larghi e scanalati pilastri, di pietra compatta e tenace, e terminavano con un architrave, e con cornice finale, ben corrispondente.
A levante e propriamente nel sito detto ora “Chiaie” vi era la Porta Janni.
Due porte vi erano pure a mezzogiorno, e precisamente nel punto detto San Francesco. Di esse una era grande e l’altra più piccola, servendo quest’ultima di comunicazione al Ribellino, borgo fuori le mura, e ora interamente distrutto.
A settentrione, nel luogo detto anche oggi Portello, ve ne era un’altra. E due altre infine esistevano nel punto ove era il Castello, ma rivolte a settentrione l’una e l’altra a ponente.
Però di queste due ultime porte non esiste vestigia alcuna nemmeno resta ricordo del preciso sito, dove erano costruite.
La chiesa ha un orientamento sud-ovest/nord-est, è la chiesa più vasta, misurando 335 mq. Ed è la più antica. L’interno è a due navate scandito da un raffinato colonnato settecentesco. Entrando a destra la statua in carta pesta raffigurante la Madonna Addolorata, continuando, la statua lignea di San Giovanni Battista, proveniente dalla chiesa del convento di S. Francesco, poi la statua lignea di S. Antonio della famiglia Iorio, S. Giuseppe, la statua in carta pesta di S. Anna, santa molto venerata ancora oggi perché protettrice delle partorienti.
Nell’abside, ai due lati dell’altare maggiore da una parte la statua lignea di S. Michele Arcangelo della famiglia Reielli e dall’altra quella del S. Cuore di Gesù. Al centro la statua di S. Eustachio, martire del II secolo d.C. (Impero di Traiano) e titolare della chiesa. A sinistra nella navata della Madonna del Rosario, una tela che rappresenta il Battesimo di Gesù del pittore E. De Curtis poi una tela raffigurante S. Caterina d’Alessandria della famiglia Bianco, una statua in carta pesta di San Gerardo Maiella della famiglia di Pagano, infine sempre sul lato sinistro, un affresco di autore ignoto rappresentante la Madonna e al centro la statua di fattura settecentesca della Madonna del Rosario, protettrice di Gioi, molto venerata e festeggiata la prima domenica di ottobre.
La chiesa è stata restaurata negli affreschi dal pittore Mario Romano ed ha conservato del primo pittore precedente Pennino (1930) due cantorie di Angeli ai lati dell’abside e le figure dei profeti nella navata del Rosario. La navata centrale presenta al centro il Buon Pastore, ai quattro lati i quattro evangelisti: S. Matteo, S. Luca, S. Giovanni, S. Marco. Nell’abside, sui due lati, due tondi rappresentanti S. Pietro e S. Paolo.
La navata della Madonna del Rosario presenta le raffigurazioni di alcuni momenti della vita della Madonna: l’Annunciazione, la fuga in Egitto, l’incoronazione. Nella stessa navata ai quattro angoli: S. Domenico, S. Caterina da Siena, Papa Giovanni XXIII e Papa Paolo VI. Nella cupola: le figure dei Profeti ed altri simboli. La chiesa è arricchita da un organo del settecento dei fratelli Carelli, vero gioiello per valore artistico e sonoro. Nell’abside si trovano due bassorilievi in legno dell’artigiano Vincenzo de Marco (seconda metà del 900) raffiguranti l’uno l’Ascensione di Gesù e l’altro la cacciata dei mercanti dal tempio.
Pregiato anche il pulpito ligneo scolpito da Erminio Salati (prima metà del 900). Gli altari in marmo policromo sono: l’altare maggiore, l’altare di San Michele, del S. Cuore di Gesù e della madonna del Rosario.
Con orientamento sud-ovest/nord-est la chiesa di San Nicola si addossa alla duecentesca chiesetta di S. Sofia.
Secondo il Salati la chiesa in origine era dedicata a Santa Maria del Carmine, poi dedicata a San Nicola nel 1556.
L’interno di chiara fattura settecentesca, a tre navate, conserva affreschi, altari e statue di notevole pregio artistico.
Entrando a destra, la statua di Gesù morto in carta pesta. La Madonna Addolorata di fattura settecentesca viene portata in processione solo il Venerdì santo, continuando, la Madonna Immacolata della famiglia Salati Iannitti; al centro la statua lignea di S. Nicola di Bari, titolare della chiesa e protettrice di Gioi, ai due lati: S. Giuseppe e S. Gaetano. La chiesa è a croce latina, al centro dell’abside la statua di Cristo-Re. Entrando a sinistra la statua in legno di S. Giacomo che viene dal convento omonimo, poi S. Lucia, S. Barbara e l’Assunta la statua a mezzo busto di S. Feliciano e ancora due tele: una collocata sulla nicchia di S. Barbara raffigurante S. Biagio, l’altra sulla statua della Madonna Addolorata raffigurante l’Angelo custode.
Dal pittore Pennino (1950) si conservano nella navata centrale l’immagine di S. Nicola benedicente a Gioi, nella navata di destra l’Annunciazione, in quella di sinistra Gesù nell’orto degli ulivi. Di pregiata fattura in marmo gli altari di S. Antonio, della Madonna del Carmine, di S. Nicola e dell’Addolorata, quest’ultimo proveniente dal cinquecentesco convento di S. Giacomo.
Posta nella parte nord di Gioi, con orientamento sud-ovest/nord-est, la chiesa della Madonna di Costantinopoli conserva un importante epiteto popolare, S. Maria della Porta, che indica la presenza nelle sue vicinanze di porta Nova.
L’edificio è situato in una particolare posizione sopraelevata, quasi a simboleggiare la sua importanza. L’interno fino agli anni 50 del 900 presentava “archi a sesto acuto, misti con archi semicircolari a tre navate”.
L’abside è decorato da un pregevole affresco tardo-quattocentesco rappresentante i dodici apostoli SORMONTATI DAL Padre Eterno benedicente.
Si colloca nella parte sud del paese; ha orientamento nord-sud e conserva in facciata pregevoli stucchi settecenteschi.
Questa potrebbe ricalcare un precedente edificio religioso sorto alla costruzione del nuovo palazzo baronale nel corso del XV secolo, alla cui estremità ovest si colloca, e dunque ricoprire il ruolo di cappella palatina.
Il Monastero delle Clarisse di S. Chiara, sorto accanto alla preesistente chiesa di S. Giacomo da cui prese il nome, fu edificato tra il 1520 e il 1526. Dell’originaria struttura si conservano l’ingresso, il chiostro centrale ed altri ambienti attigui.
Questo convento, tra i più nobili del Cilento, del Terzo ordine francescano, o di S. Elisabetta d’Ungheria, fu eretto a spese dell’ Università di Gioi e del feudatario Pignatelli di Monteleone; infatti nel’intaglio del pozzo del chiostro figura lo stemma di questo principe, e lo stesso stemma a pittura compariva sulla porta del refettorio. In pochi anni l’istituzione divenne assai nota oltre i confini del territorio, ospitando fanciulle provenienti da tutto il Cilento e dalla Lucania.
La fondazione del Convento di S. Francesco rientra nel movimento dell’Osservanza verificatosi intorno al XV secolo all’interno dell’Ordine Francescano.
Questo movimento fu caratterizzato maggiormente da fondazioni monastiche realizzate in luoghi difficilmente raggiungibili dai normali flussi economici dell’epoca e dunque da una rigorosità maggiore nell’osservare la regola di San Francesco.
Al 13 Giugno 1466 risale l’emanazione della bolla di fondazione del Convento da parte di Papa Paolo II e diretta al vescovo di Capaccio, che a sua volta concesse il beneplacito; il 13 Ottobre dello stesso anno fu piantata la croce che diede inizio ai lavori.
Il Convento fu costruito in un punto di passaggio obbligato per l’accesso al borgo, nel luogo dove sorgeva una piccola chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, che fu concessa ai frati francescani nel 1466 dal rettore pro tempore della chiesa; così la piccola chiesetta fu inglobata, come cappella intitolata a S. Maria del Soccorso, nella maestosa chiesa del convento, dove ancora si distingue, conservando un orientamento sud-nord.
La struttura fu edificata sfruttando al massimo il naturale dislivello creato dalla cinta muraria con il terrazzamento inferiore, che con molta probabilità venne ampliato proprio in questa occasione.
Il complesso si articola su tre livelli sovrapposti ed è frutto di più interventi susseguitisi tra il XV ed il XVIII secolo.
Al primo livello ritroviamo la chiesa, il chiostro, il refettorio, la cucina, la dispensa, le varie officine e il giardino; al secondo i dormitori con le varie cellette ed altri luoghi comuni come la biblioteca e la stanza della fraternità; il terzo livello è costituito da tre ambienti, comunicanti con il secondo piano tramite una scala interna, di cui non si conosce l’utilizzazione originari. Iniziando la visita dall’ingresso nord, percorriamo una suggestiva scalinata in arenaria grigia che conduce all’interno il chiostro.
Il chiostro costituisce il fulcro della composizione spaziale dell’edificio. Si tratta del nucleo più antico del complesso. Struttura quadrata con quattro archi per lato poggianti su esili colonne, di forma molto diversa, liscia, scanalata, tortile, provenienti da un preesistente edificio di età paleocristiana, e ornate da basi e capitelli di gusto angioino.
Le colonne poggiano su un basamento continuo che corre tutt’intorno al chiostro presentando un’unica apertura verso lo spazio aperto dove è collocato il pozzo databile al XVII secolo.
Le volte del chiostro e l’androne coperto con volta a botte, conservano affreschi, raffiguranti storie della vita di San Francesco, databili al XVI secolo.
Il ciclo di affreschi inizia dall’androne: su entrambe le pareti i riquadri raffigurano scene inframmezzate da lesene con decori e delimitate, nella parte superiore ed inferiore da fasce decorative. La fascia inferiore prosegue lungo tutto il chiostro e contiene per ogni scenda la descrizione della stessa in un cartiglio retto da due angeli. Entrati nel chiostro le scene sono raffigurate all’interno di 19 lunette.
Queste sono delimitate, da una cornice con disegni geometrici che ricalca la forma ogivale della lunetta al cui vertice è raffigurato uno stemma, e dalla fascia inferiore, che prosegue dall’androne, alla quale, ai cartigli descrittivi delle scene retti da due angeli, viene aggiunta la raffigurazione di figure di santi in tondi.
Dal chiostro è visibile la torre campanaria priva di elementi decorativi e sobria nella struttura bassa e tozza su pianta rettangolare.
Dallo stesso si accede al refettorio attraverso un portalino, realizzato nel XVII secolo, che nella stessa sobria ed elegante definizione degli elementi decorativi rievoca la semplicità di vita dei monaci dell’Osservanza.
Dal refettorio si accede alla vecchia cucina che conserva le tracce delle antiche cappe di tiraggio, e ad ambienti originariamente costituiti da un porticato sorretto da pilastri pseudo-ottagonali tipicamente angioini che costituiva l’aia coperta del monastero adibita ad usi agricoli. La sopraelevazione settecentesca rese necessario il rafforzamento della parte sottostante e dunque la tamponatura del precedente porticato. Nella parte alta si aprono le finestre delle celle dei frati.
Tornado nel chiostro e dirigendoci verso l’ingresso della chiesa, attraversiamo quella che era l’entrata principale al convento, costituito da un grosso portale in pietra arenaria su cui è riportata la data del 1661. In origine direttamente aperto sull’esterno, il portale, con cornice squadrata è sormontato da un timpano spezzato dove trova posto un mascherone d’angelo ad ali ripiegate, sormontato dallo stemma dell’origine francescano: i due bracci incrociati nel segno della pace e della povertà.
Il protiro antistante la chiesa conserva consistenti tracce di affreschi risalenti al XVI secolo. La copertura è costituita da una volta a crociera composta da otto vele. Sulla parete di ingresso alla chiesa si leggono, a destra S. Paolo, al centro S. Antonio, a sinistra S. Pietro con devoto.
La parete laterale destra conserva una decorazione geometrica romboidale con al centro una figura seduta di difficile interpretazione; la stessa decorazione si riscontra sulla parete rivolta a sud con al centro la raffigurazione di S. Martino e il poverello. Sulle otto vele si conservano le seguenti figure: vela 1, Santa martire; vela 2 Santa Lucia; vela 3 San Raimondo; vela 4 Santa Margherita; vela 5 Santo Monaco; vela 6 Santo Vescovo; vela7 Madonna annunciata; vela 8 Arcangelo Gabriele.
Episodio di grande rilievo nel complesso monumentale del Convento di S. Francesco, la chiesa si presenta nella sua veste settecentesca; in principio essa fu realizzata secondo uno schema tipico dell’ architettura angioina e, seguendo la più genuina tradizione francescana, rispecchia la consueta tipologia “gotico meridionale” della chiesa dell’Ordine mendicante: navata unica rettangolare coperta con capriate lignee a vista sulle quali poggiava una copertura in tegole a due falde. Al primitivo assetto appartengono le tracce della serie regolare di finestrelle, ad arco a tutto sesto, leggibili sulla facciata laterale, tompagnate dall’intervento settecentesco o ampliate da finestre tribolate più consone alla ristrutturazione in stile rococò di cui la chiesa fu oggetto.
Sul pavimento della chiesa si conservano due lastre lapidee sepolcrali risalenti al XVI secolo con stemmi araldici, due fosse comuni ed un riquadro in maioliche del XVII secolo.
Il Convento di S. Francesco, durante il XIX secolo, seguì la sorte della maggior parte delle strutture conventuali del Regno delle Due Sicilie: Nel 1811 fu confiscato dai Francesi; nel 1814 fu riaperto, ma nel 1866, dopo l’Unificazione, fu soppresso definitivamente. Soltanto la chiesa ha mantenuto la sua funzione originaria sino ad oggi; il Convento, al contrario, dopo la soppressione definitiva, è stato adibito alle funzioni più disparate da pretura con annesse le carceri, a sede municipale, a scuola; dal 1971 al 1998 la struttura è stata sede del Circolo Culturale L’Atomo.