Cardile

Il luogo

Su una montagna tra Gioi e Cardile, tra l’VIII e il X sec., venne probabilmente costruita una laura basiliana ad opera dei monaci italo-greci, chiamata, ancora oggi, “la Laura”, in riferimento proprio all’antico villaggio.

“La Laura” (dal greco “quartiere”) era solitamente un luogo ameno su cui i monaci costruivano delle capanne di legno, dove si appartavano dal mondo, rifugiandosi nella preghiera e nella meditazione.

Verso la metà del sec. XVI scomparvero alcuni casali, tra cui quello di Teano e Casalicchio a causa delle scorribande compiute da Barbarossa, capo dei Saraceni, che dai lidi tirreni si spostava con rapace violenza verso le zone interne del Cilento.

Si suppone che proprio gli abitanti di questi casali, costretti a riparare altrove, costruirono un nuovo nucleo abitativo: Cardile.


Nel 1552 la Baronia si frantumò in tanti piccoli feudi governati dai Baroni, i quali vantavano sugli stessi diritti illimitati.

Anche a Cardile i baroni Siniscalchi fecero valere sulla popolazione i cosiddetti “iura francorum”, tra i quali il diritto di prima notte, abolito, di poi, per mano di un antenato della famiglia D’Elia con l’uccisione del locale barone.

Il Seicento fu caratterizzato da maggiori oneri a carico dei contadini, costretti a lavorare in condizioni disumane a servizio dei signori locali e a pagare tasse di ogni genere. In aggiunta, gravava su di loro anche il tempo inclemente. Numerose furono infatti le carestie determinate da inverni rigidi ed estati piovose. Alla carestia si aggiunse poi la peste del 1656. La popolazione venne ulteriormente decimata: Cardile, a differenza di altri centri, ebbe un numero di vittime inferiori alla media; infatti, la popolazione, che nel 1648 era composta da 51 fuochi (circa 357 abitanti), dopo il 1656 passò a 30 fuochi (circa 210 abitanti), mentre nella vicina Gioi, gli abitanti si ridussero di oltre 2/3. Di qui la forte devozione dei Cardilesi a San Rocco, protettore degli appestati.

Si racconta che in passato, in località “Visciglina”, vennero alla luce delle strutture tombali costruite dagli appestati stessi, i quali, al fine di non restare insepolti, ai primi sintomi del male, si adagiavano in tali strutture in attesa della morte. La carestia, la peste, i soprusi dei signorotti gettarono nello sconforto il popolo cilentano che, avendo smarrito i valori della fede cristiana, finì per accettare ogni forma di superstizione come toccasana ai propri mali. Nacquero così nella tradizione popolare cardilese le figure di fattucchiera e “ianara” (strega), che svolgevano i loro rituali in un luogo, nei pressi di Cardile, che tutt’oggi conserva il nome di “ianara”.


La pressione fiscale e feudale, agli inizi del ‘700, divenne intollerabile a tal punto che tra feudatari e università si aprirono controversie e liti al fine di garantire al popolo i pochi diritti di cui era titolare. Nel 1720, dinanzi alla corte baronale del casale di Cardile, numerosi cittadini rivendicarono il diritto agli usi civici sulle foreste dette la “Visciglina” e “Li Spagari” nei confronti dei Baroni di Cardile, possidenti usurpatori.


Solo nel 1754, a causa delle pessime condizioni economiche in cui versava il Regno, venne redatto a Cardile, come in altri paesi del Cilento, il catasto onciario in modo da ripartire con equità il peso di tasse, gabelle ed altri dazi imposti.

Il Borgo Antico

Cardile, fondato lungo la dorsale di una collina, presenta un notevole dislivello altimetrico tra un punto e l’altro del paese, tanto che nel catasto conciario del 1754 veniva diviso in tre parti: Piedicardile, Mezzocardile, Capocardile.


Si consideravano, inoltre, come punti di riferimento nella toponomastica: la chiesa, il palazzo baronale, le piazze e i vicoli principali.
La chiesa, costruita probabilmente agli inizi del XV sec., è dedicata a San Giovanni Battista. Sin dalla sua fondazione, essa era costituita da una sola navata; il soffitto era a cassettoni di legno, al centro del quale vi era un dipinto del santo, mentre gli archi reggevano una volta a crociera. Nel corso degli anni ha subito numerose modifiche ed oggi la chiesa presenta nicchie laterali dove sono collocate le statue dei santi e le sue pareti, a seguito del restauro del 1995, sono state arricchite di murales raffiguranti alcuni momenti della liturgia, eseguiti dalla pittrice Gabriella D’Aiuto.


Il palazzo baronale si estendeva dalla platea delli venti all’abitazione della famiglia Riccio; al palazzo erano annesse le prigioni, la corte baronale e il frantoio. La platea la lavata (il termine lavata indicava una presa d’acqua pubblica) era in passato la piazza principale del paese; in questa piazza furono esposte le teste dei fratelli Riccio durante i moti del 1828.


La strada che unisce Capocardile e Piedicardile si dirama in varie direzioni, dando origine ad un’intricata serie di passaggi con volta in pietra che conducono nelle abitazioni e negli orti attigui (“Lo Vaglio“, “L’Orto di Gallo“, “Lo Pizzo di Fusco” e “L’Arco della Chiesa“). Tutte le case del centro storico furono costruite su archi con volta a tutto sesto, in quanto la natura rocciosa del terreno e il dislivello altimetrico consentiva di costruire le abitazioni senza fondazioni, poggiandole direttamente sulla roccia sedimentaria. Inoltre, la posizione degli ingressi orientati verso la strada principale (interna al paese) costituiva un mezzo di difesa alternativo alle mura di cinta. Questo metodo di costruzione, che raggruppava le abitazioni nelle immediate vicinanze della chiesa e del palazzo baronale, oltre a rendere molto difficile l’accesso al paese una volta chiuse le vie principali, consentiva anche un notevole risparmio di materiali da costruzione. Ancora oggi è possibile vedere sulla facciata di alcune case le cosiddette “saiettere” (feritoie) che servivano come estrema difesa dagli attacchi esterni.
(fonte: Archivio di Stato di Salerno).

le cascate il ponte medievale ed i sentieri naturalistici 7 sito pro loco gioi cardile
tabellone cardile sito pro loco gioi cardile
le cascate il ponte medievale ed i sentieri naturalistici 6 sito pro loco gioi cardile

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